43 morti per un Paese da ricostruire

LUTTO dom 19 agosto 2018

Vasto Continuano i controlli su tutte le arterie stradali in un Paese che ha bisogno di un vigoroso piano di ricostruzione

Attualità di Antonia Schiavarelli
1min
Funerali delle vittime del ponte Morandi a Genova ©Ansa
Funerali delle vittime del ponte Morandi a Genova ©Ansa

SAN SALVO. Per chi fa cronaca di provincia, questi sono stati giorni intensi. La conta delle scosse e dei danni hanno affollato le pagine cartacee e web dell'informazione locale e nazionale, andandosi a sommare alle notizie delle strade dissestate, degli edifici pubblici da adeguare.

Sono stati chiusi ponti, cavalcavia, come se fosse suonato l'ultimo campanello d'allarme, nuove lettere sono state scritte al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da parte di sindaci che si sentono sempre più inermi davanti a fatti che esulano dalle loro competenze ma che purtroppo cambiano la vita delle loro comunità.

La lettera del sindaco di Petrella Tifernina Alessandro Amoroso che con altri 35 sindaci chiede fondi per svolgere accurate indagini sulla diga del Liscione (leggi), la lettera del sindaco Felice Magnacca di Castiglione Messer Marino, comunità oramai isolata che non si sente più cittadina di una Nazione che sembra averla dimenticata (leggi).

L'impressione è di un Paese che sta cadendo a pezzi, in cui i suoi figli emigrano, oltre 500mila emigrati negli ultimi cinque anni e cancellati dalle rispettive anagrafi, convinti dunque a non tornare più.

La diga del Liscione, il ponte Morandi e tante altre opere infrastrutturali della nostra nazione sono state costruite in anni in cui il nostro Paese cresceva, erano i primi anni sessanta e gli italiani credevano nell'Italia.

Gli italiani dovranno decidere se il ponte Morandi ed i suoi 43 morti, dovranno essere il simbolo di una rinascita o di una definitiva sconfitta.

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