Braccio di ferro Usa-Nord Corea, minaccia nucleare sempre più concreta

dom 03 settembre 2017
Editoriale di redazione
3min
Braccio di ferro Usa-Nord Corea, minaccia nucleare sempre più concreta ©n.c.
Braccio di ferro Usa-Nord Corea, minaccia nucleare sempre più concreta ©n.c.
Non è ancora passato un mese dal 72esimo anniversario dello sgancio delle prime, e finora uniche, bombe atomiche sul Giappone, che la minaccia nucleare si fa sempre più vicina e feroce. Le immagini delle due città giapponesi rase al suolo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, non suonano affatto come un monito sulle conseguenze disastrose che si ottiene con l’uso di armi di distruzione di massa, ma anzi al contrario sembra che galvanizzi il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, visto che ad ogni test nucleare aumenta il suo entusiasmo, celebrando, ad ogni successo conseguito, il loro crescente potere distruttivo. Ma mentre “Little Boy” e “Fat Man”, come furono chiamati i due ordigni atomici che distrussero Hiroshima e Nagasaki, furono lanciati per porre fine ad una guerra che, durata 6 anni, aveva stravolto l’intero sistema geopolitico mondiale e causato circa 70 milioni di vittime, la minaccia nordcoreana è puramente gratuita e giocata per ottenere ragione sul suo nemico storico, gli Stati Uniti d’America. Difficile venire a capo delle ragioni che spingono Kim Jong-un al pericoloso, per tutti noi, braccio di ferro che ha ingaggiato con Donald Trump, se non si ritorna un po’ indietro nella storia ed esattamente al momento in cui le due Coree furono divise. La motivazione principale fu una questione squisitamente ideologica che rientra a buon diritto nella divisione in due blocchi del mondo: da una parte il sistema occidentale basato sul capitalismo e dall’altra il comunismo, con la sua gestione paternalistica dello Stato. Erano gli anni ’50 e Stati Uniti e Urss si divisero il mondo, iniziando di fatto la cosiddetta Guerra Fredda. La minaccia nucleare da allora ha tenuto in scacco intere generazioni, ma si pensava fosse terminata a partire dal 1989 con la caduta del Muro di Berlino, simbolo della fine della Cortina di Ferro – la linea immaginaria che ha diviso l’Europa  in due sfere di influenza. Tra alti e bassi, negoziazioni diplomatiche e accordi internazionali la pace, e con essa il divieto di sperimentare nuove armi capaci di distruggere l’intero pianeta, è stata mantenuta. Fino ad ora. I nuovi test atomici nordcoreani, avvenuti oggi 3 settembre, hanno causato due terremoti, uno di magnitudo 6.3 e il secondo 4.6, rendendo palese al mondo intero che Kim Jong-un è ormai lanciato, in tutti i sensi, nella corsa nucleare e che non si ferma nemmeno di fronte al pericolo in cui mette tutti i suoi sudditi. Questo sesto esperimento ha fatto rabbrividire persino la Cina, spingendola per la prima volta a condannare pubblicamente la politica di Pyongyang e ad inviare aerei al confine con la Corea del Nord. Le esplosioni sotterranee sono avvenute a 10 km di profondità ed è stato stimato che sono 5 volte più potenti di quelle che hanno raso al suolo Nagasaki. È un caso che i test nucleari nordcoreani siano avvenuti proprio quando a guidare gli Stati Uniti è il super contestato Donald Trump? C’è da dubitarne. La politica internazionale del presidente statunitense è stata da subito aggressiva, oltreché nazionalista e protezionista a favore degli interessi americani, e non ha di certo agevolato un dialogo equilibrato e di conseguenza pacificatore con il dittatore nordcoreano. Isolato e sempre più paranoico, Kim Jong-un non aspetta altro che una reazione aggressiva da parte di Trump e dei suoi alleati per avere un pretesto e dar seguito alle sue minacce. Un piccolo stato, guidato da un dittatore con manie di grandezza e con pochi scrupoli, e la più grande super potenza del mondo, governata dal più discusso presidente che il paese a stelle e strisce abbia mai avuto, stanno giocando una pericolosa partita a scacchi, senza conoscerne bene le regole e la cui mossa finale, il fatidico scacco al re, potrebbe risultare fatale non solo a chi lo subisce ma anche a tutti noi. Sabina Sestu

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