Autismo:​ la battaglia di Marie Helene Benedetti​ e di suo figlio Thomas

la storia gio 07 marzo 2019

Vasto "Liste d'attesa infinite e viaggi quotidiani per le terapie a Pescara. Il Comune ci finanzia 1.200, ma non bastano"

Attualità di La Redazione
7min
Marie Helene Benedetti​ ©Personale
Marie Helene Benedetti​ ©Personale

VASTO. Questa sera vogliamo raccontare la storia di una madre tenace. Si chiama Marie Helene Benedetti ed ogni giorno lotta e combatte per suo figlio Thomas che ha scoperto essere autistico da qualche tempo. La sua è una battaglia affinché non le vengano negati i propri diritti. Le sue difficoltà sono tante: economiche per i continui viaggi per le terapie, ma anche logistiche ed organizzative. Questo il suo racconto.

"L'autismo è una condizione molto difficile da accettare per un genitore e vi racconterò la nostra storia dall'inizio, proprio per farvi toccare con mano l'apice del dolore di una madre a cui non è concesso piangere perché deve tenere la guardia alta per far valere i propri diritti.

In un anno e tre mesi di consapevolezza, percorso e progressi di mio figlio, avrei potuto trovare il mio equilibrio, invece no, sono dimagrita tantissimo e dormo poco perché mi devo informare, devo trovare le soluzioni per uscire fuori da questo baratro in cui si trova la mia famiglia che ogni giorno si vede negati i propri diritti."

LA STORIA. Mi accorsi intorno ai 10-12 mesi che il mio Thomas non superava alcune tappe dello sviluppo. Non aveva alcun interesse per la sua immagine riflessa allo specchio, non arrivava il “ciao” con la manina, non giocava con me, mangiava solo frullato, non tentava mai di mangiare da solo.

Non potevamo andare da nessuna parte, anche un pranzo dai suoceri si trasformava in un incubo perché cominciava a piangere fino a vomitare. Non faceva espressioni di stupore, non guardava ciò che gli indicavo, spesso non si girava se chiamato e quando lo faceva, dopo varie chiamate, era una guardatina fugace. Intorno a me regnava l'ignoranza del "ma no, stai tranquilla, ha i suoi tempi, è pigro".

Crescevano i dubbi, cresceva l'ansia, il pediatra non riscontrava i miei dubbi... marito, famiglia e amici confermavano la mia pazzia.

Passavano i mesi ed io risultavo, agli occhi di tutti, inadeguata e ansiosa. In me cresceva sempre di più il dubbio, ma me lo covavo dentro per non sentire i pareri degli altri che mi davano sempre contro.

Quando Thomas aveva 16 mesi, mi capitò di risentire una mia cara amica che mi invitava al compleanno di suo figlio. Due anni prima aveva scoperto il suo autismo. Ci eravamo allontanati quando lei, dopo aver avuto la diagnosi, mi chiese di non vederci più perché doveva pensare al suo bambino. All’epoca non presi bene questa sua decisione, oggi invece capisco il suo allontanamento.

Durante il compleanno tacqui, ma ci ricominciammo a sentire telefonicamente ogni giorno, finché disperata le dissi: "Ti prego, devi vedere mio figlio, c'è qualcosa che non va... tutti mi dicono che sono pazza, ma io sento che c'è qualcosa".

Lei non perse tempo e mi chiese di prendere il bimbo e di correre immediatamente da lei.

A 16 mesi, per la prima volta, sentii la frase "Sì Helene, non sei pazza, ecco il numero del mio bravissimo neuropsichiatra, chiamalo".

Davanti a lei presi appuntamento... il dottore era in ferie, per questo dovetti attendere 5 giorni, i più lunghi della mia vita...

Tornai a casa, mio marito stava cucinando. Gli dissi: "Enrico, ho preso appuntamento dal neuropsichiatra per Thomas. Lunedì ci riceverà a Lanciano".

Mio marito, che è un ottimo padre, un marito meraviglioso, una persona pacatissima, ebbe un'esagerata reazione, una litigata mai vista. Gli dissi che ero disposta a passare sul suo cadavere se ce ne fosse stata la necessità...

La mattina dopo, dal lavoro mio marito mi mandò un messaggio su whatsapp di scuse profondissime, era mortificato per la sua reazione e mi promise di restare al mio fianco in questo percorso, convinto del fatto che il figlio non avesse nulla. Lo compresi e lo perdonai, era solo un dolce papà che non voleva vedere.

I cinque giorni della mia vita più atroci e lunghi non passavano mai. Thomas in quei giorni tirò fuori tutte le stereotipie e stranezze di questo mondo. I cinque giorni passarono, andammo in visita, il neuropsichiatra confermò le mie paure, era il 5 dicembre 2017: la morte.

Il neuropsichiatra convenzionato con la Asl mi rilasciò una diagnosi di sospetto autismo, non poteva fare di più, mi guardò negli occhi dicendomi solo: "Signora, non perda tempo e soldi dietro sciacalli che le prometteranno cure, mi dia retta, al momento lei deve sapere solo che deve lavorare in fretta e sodo sul bambino, ci rivediamo fra 6 mesi".

Quella diagnosi è stata la salvezza di mio figlio perché, in ogni caso, mi ha dato modo di iniziare un intervento precoce.

Con quella preziosa e dolorosa diagnosi mi precipitai alla Asl chiedendo una visita per le terapie convenzionate. Chiesi 6 terapie perché sapevo che nella mia Asl di appartenenza le avrei potute ottenere.

"Ma no, signora, ne bastano 2 o 3 e poi il bimbo è piccolo, potrebbe non avere assolutamente niente. Questa diagnosi è stata affrettata", mi sentii rispondere.

Mi volevano dare l'appuntamento per la visita dopo tre settimane... Non ci vidi più dalla collera, insistetti e non me ne andai da lì senza riuscire ad avere l'appuntamento per il giorno dopo.

Ottenni infine le 6 terapie, ma in realtà esse avevano una durata di sole quattro ore e mezza. Già sapevo che nei centri vicini c'erano liste d'attesa infinite e che sarei dovuta andare a 100 km da casa, anche perché solo lì adottano la terapia Denver.

Il 18 dicembre ero davanti al direttore generale della struttura, il quale vedendo la data della diagnosi, la data del rilascio delle terapie, mi guardò sbigottito e mi disse: "Signora, lei è un fulmine, mai vista una mamma così veloce, complimenti, ma prima di gennaio non possiamo iniziare perché ci sono le feste natalizie di mezzo". Mi vestii di tutta la pazienza che non mi appartiene, tentai gentilmente di affrettare i tempi, ma niente da fare. Accettai.

Tornai a casa e presi allora appuntamento con la nutrizionista che cura la dieta del figlio della mia amica. Altri 350 km e fummo da lei. Iniziammo con il togliere la caseina. Tempo 3 giorni e mio figlio era diventato il bimbo più calmo del mondo.

Cominciai a casa il lavoro sul mio bambino grazie ai consigli della mia amica, mamma del bimbo autistico. Avevo comprato il libro sul Denver e lo seguivo passo passo. Thomas imparava in fretta dandomi speranze; nel frattempo iniziammo le terapie ed ecco sentirmi di nuovo ripetere nel centro di cura: "Ma no, non è autistico!!!".

Anche se quella tanto criticata diagnosi era stata data da un medico esperto, tutti la mettevano in discussione e tanto bastava per distruggere la serenità di una mamma che invece avrebbe soltanto voluto vedere che si prendesse seriamente in considerazione la situazione per poter agire al meglio.

Cercai allora un appuntamento con lo Stella Maris di Pisa, il centro più eccelso d'Italia a detta di tutto il settore, a 600 km da casa, ma c'era da aspettare più di un anno di lista d'attesa...

Mi misi su internet ed entrai in contatto con un mare di genitori, continuai a cercare e infine trovai un angelo, una mamma speciale che mi disse che c'era un programma di studio della medicina dello Stella Maris che permette una diagnosi tempestiva e che prevede che il bimbo venga visto ogni 6 mesi fino ai 3 anni. Mi mandò il programma, constatai che non ci fossero interventi invasivi, ma solo osservazioni, test e elettroencefalogramma, chiamai il medico e iscrissi mio figlio.

A marzo tornammo dallo Stella Maris con una diagnosi inconfutabile. Finalmente si poteva cominciare a lavorare bene e mio figlio iniziò a fare grandi progressi, ma i viaggi, prima tre e dopo quattro a settimana, fra grandi difficoltà da sopportare per Thomas e tutta la famiglia, sono di 800 km a settimana e costano complessivamente 500 euro al mese dallo stipendio di un operaio. Io non posso lavorare per ovvi motivi.

Dal lunedì al giovedì mamma e Thomas, da soli, fanno 200 km al giorno fra crisi e difficoltà logistiche e finanziarie, ma a un certo punto scopro che gli autistici hanno diritto al percorso in loco e che la Asl o il Comune devono occuparsi del viaggio, che rientra nel percorso terapeutico il quale pertanto può funzionare solo se il bambino non affronta il viaggio in crisi.

Dopo un anno e tre mesi vi chiederete se mi sono calmata... No, io sono diventata una persona che ha finito la pazienza, la sto vivendo male...malissimo... ma lui fa progressi incredibili, e quindi va tutto bene. Come persona, come donna, come essere umano sono finita, sono morta, non esisto; come mamma mi sento senza diritti. Con il solo stipendio da operaio di mio marito non so come ma ce la stiamo facendo e questo mi ripaga di tutto ciò che non sono più.

Io otterrò i miei diritti, tutti i miei diritti, semplicemente perché sono i diritti del mio bambino che non è in grado di lottare per averli e tocca a me madre fare in modo che tutti gli sciacalli intorno abbiano rispetto del mio bambino..."

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