Tempo d’estate: com’è delizioso andar in motocicletta
ABRUZZO. Il poeta calabrese Cesare Monitio scrisse, in un suo poemetto in 100 ottave:”Quando l’occhio rimira, il cuor paventa, / quando paventa il cuor, peggio succede, / quando succede, a depredar s’avventa, / quando depreda, ogni credenza eccede”. Alludeva al Vesuvio, ma noi – con quel che segue – in luogo di leggere quel prodigio naturale alla luce delle passioni umane, preferiamo parlare di qualcosa di più familiare, naturalmente solo per scherzare (come si fa tra vecchi amici).
La motocicletta, che negli Anni Cinquanta fu il veicolo di modesti lavoratori, il mezzo di spostamento del piazzista, del Segretario comunale (che allora non guadagnava tanto come adesso, ma lavorava sodo) e del maestro di campagna, del macellaio o del guardiacaccia, del daziere o dell’ufficiale giudiziario, oggi è diventato il “due ruote” d’evasione e di rivalsa di giovani (ma soprattutto di meno giovani) dotati di qualche complesso, oppure di altri soggetti alla ricerca di una personalità alternativa. Con il casco (slacciato!) in testa, questi uomini di multiforme età si lanciano per sfidare muri, rocce, pali e radiatori pur di sembrare audaci e fatali come erano gli antichi paladini di Linguadoca. Corrono, vanno sempre veloci, ma non per andare a portare a casa un documento importante o un quarto di vitello per la cena con gli ospiti o per svolgere una quale che sia utile funzione, ma solo per provare il brivido del vento che si insinua tra i capelli (oramai radi), per godere l’ebbrezza del rischio oppure per sentire “cantare” i loro pistoni che forse – a vedere taluni piuttosto avanti in età – hanno sostituito idealmente ad altri organi personali, accantonati o silenti per un’atroce beffa della sorte.
L’uomo ha sempre cercato ciò che può mettere in pericolo la sua vita. Il motociclista audace, lo scalatore, il nuotatore che si avventura al largo, il giocatore d’azzardo o colui che si accinge a “conquistare” una donna fatale, corrono tutti verso il brivido. Nella misura consentita dalle loro forze, ognuno vorrebbe conseguire le maggiori perdite ed i maggiori pericoli. E la ragione di ciò va ricercata, probabilmente, nel bisogno, innato, di superare l’angoscia che ci coglie appena abbiamo avuto la consapevolezza del destino di morte a cui non possiamo sfuggire entro un giro più o meno breve di anni. Per ribellarsi alla certezza della venuta della Comare secca (come la chiamava P.P. Pasolini), non hanno altra via che quella di sfidare la morte, sfiorarla, evitarla di misura. Ed in questo gioco fatale accade anche che anticipino la propria fine, con una specie di sacrificio (o di immolazione) che non è l’ultima delle loro soddisfazioni …
Scusate, se ci siamo fatti prendere la mano dalla fantasia. Ma quali paladini di Francia!? Ma quali traviati di paese!? Nel settore girano le onomatopeie più impensate: si autonominano ‘pigs’ (maiali), ‘katz’ (gatti), ‘mods’ (modernisti), ‘fuori giri’, ‘skassakatz’ (odiatori di gatti?). Tutte si rivelano buone per far sentire questi ‘Peter Pan’ in sedicesimo più su di una spanna rispetto alla gente normale che si chiama Basso, Pardo, Leo o Nicandro. Certe riunioni periodiche di centauri servono soltanto per organizzare (con il patrocinio di tanti Comuni malaccorti ed in vena di farsi degli amici con i soldi pubblici) rumorose feste di piazza in cui, sempre con il beneplacito dei vari Esecutivi, si somministrano alcolici in piazza contro tutti i divieti posti dalle recentissime leggi varate dal Governo in materia di pubblica sicurezza.
Recentemente, in una piazza (che non nomino per carità di patria), abbiamo visto un presidente di moto-club (una volta si chiamavano in maniera seria) presiedere un banco di somministrazione di birra senza autorizzazioni di sorta. Visto che le cose stanno così, almeno togliamo a questi “ragazzi” l’aureola di “persone che sfidano il mondo e la vita”. Costoro, al massimo, sfidano l’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza (col beneplacito dei ‘tutores’ locali).
Claudio de Luca