"Penso tanto alle persone a cui voglio bene e spero solo di poterle riabbracciare"

testimonianze da milano lun 23 marzo 2020

Vasto La vastese Cristina Montaruli: "Questo momento, per chiunque lo superi, può essere l’occasione buona per migliorarsi"

Attualità di Lea Di Scipio
2min
"Penso tanto alle persone a cui voglio bene e spero solo di poterle riabbracciare" ©personale
"Penso tanto alle persone a cui voglio bene e spero solo di poterle riabbracciare" ©personale

VASTO. Dopo i racconti di Sandra e Carmine da Londra (Leggi) e di Fernando da Perth (Leggi), arriva quello della vastese, Cristina Montaruli.

La nostra lettrice vive e lavora a Milano dal 2008 e ci ha reso la sua testimonianza, scrivendo da uno dei posti più colpiti dal Coronavirus, la Lombardia.

Ecco il suo racconto.

“Personalmente ho cominciato a diradare le uscite già a gennaio.

Il 13 febbraio, dopo un articolo su Bloomberg che citava i dati statistici di Ira Longini (professore di Biostatistica e consulente dell’OMS) ho ordinato su Amazon mascherine con valvola, guanti in lattice, spray disinfettante per ambienti e tessuti, salviette igienizzanti ospedaliere e tanto gel per le mani. Arrivavano i pacchi in ufficio e un po’ facevo ridere - non lo nego. Ma col papà anzianotto a Vasto, il secondo pensiero è stato disdire il weekend abruzzese, così per eccesso di zelo. Pensavo di rivederlo a Pasqua.

La sera del 21 febbraio, col Rosso a Codogno, ho disdetto il tavolo al ristorante in zona Sempione e non sono più uscita per svago. Il ristoratore era quasi felice: si sentiva confusione tra gente e stoviglie, il tavolo l’avrebbe riempito in un nanosecondo.

Ho vissuto male il #milanononsiferma, la #nottedellebacchette mi son detta qui son tutti pazzi, inclusi gli amici (tra cui ingegneri e medici) che dicevano non sarete tra quelli che fanno scorte? Guardate che è un’influenza la faremo tutti.

Proiezioni e articoli scientifici giravano, forse non Italia, ma a Milano, dove la prima lingua è l’inglese, avevamo bisogno dell’appello di Fiorello?

Non sono più uscita a parte passeggiatine intorno casa, nelle aree verdi di San Siro, intorno all’Ippodromo, intorno allo Stadio, attraversando la strada per evitare le (poche) persone con la strana sensazione di sognare.

Con il penultimo DPCM, tecnicamente già “coercitivo”, mentre molti finalmente si barricavano in casa sospirando, altrettanti si sono riversati in strada e nei parchetti.

Fortunatamente, a oggi, questa esperienza non mi ha toccata in modo drammatico, non ho paura, cerco di essere paziente, cerco di non sovrainformarmi. Mi sono imposta un telegiornale al giorno, la sera, e fare una spesa oculata, che comporti d’andar di rado a comprare – solo per risparmiarmi l’esperienza non tragica, ma neanche bella, del supermercato surreale.

Il lavoro fortunatamente gira, l’agenzia per cui lavoro è fatta di persone speciali. Smartworking da subito e poi attenzione al risvolto umano della faccenda, perché si dorme tutti un po’ male, perché di notte si sentono, spesso, solo le sirene d’ambulanza.

Ore vuote non ne ho. Quando chiudo i libri penso tanto alle persone a cui voglio bene e spero solo di poterle riabbracciare, penso alla mia vita fino a oggi e mi sento fortunata. Penso che questo momento, per chiunque lo superi, sia l’ultima l’occasione buona per migliorarsi e aver cura di un mondo ancora disponibile a darci opportunità”.


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