Coronavirus, l'appello dei medici: "Aiutateci, siamo sconfortati"
Vasto "Il dramma è anche per i nostri familiari"
ABRUZZO. "Lo sconforto aumenta di ora in ora: un supporto psicologico per noi medici in questo momento non è solo necessario, ma indispensabile". Lo ha detto all'Ansa Liberato Aceto, medico di chirurgia generale in servizio presso la chirurgia oncologica del presidio ospedaliero Santissima Annunziata di Chieti.
"Noi medici non siamo eroi, ma siamo gli stessi che ieri venivano attaccati a vario titolo dai parenti o dai pazienti".
"Condizioni sempre più difficili nei reparti di degenza perché tra paziente e medico si è alzata una barriera non solo a causa delle distanze di sicurezza da rispettare, ma soprattutto per le distanze emotive create dai dispositivi di sicurezza indossati che rendono difficili sia i movimenti che la comunicazione col paziente. La distanza non lascia più spazio a quel rapporto fiduciario che si instaura necessariamente tra medico e paziente. Non è più possibile dare conforto ad un paziente stringendogli la mano o rassicurarlo con una pacca sulla spalla".
"Il dramma di noi medici non è tanto il rischio che corriamo noi, ma il rischio che possiamo far correre ai nostri familiari. Ci fa tirare un respiro di sollievo il fatto che da oggi per gli operatori sanitari ci siano i tamponi forniti dalla Asl: sono tanti e continui i casi di colleghi contagiati in ambito ospedaliero. La loro paura principale è di contagiare i familiari". Lo ha detto all'Ansa Liberato Aceto, medico di chirurgia generale in servizio presso la chirurgia oncologica del presidio ospedaliero Santissima Annunziata di Chieti.
La maggior parte dei medici, infatti, rientra a casa isolandosi dai figli, dalle mogli e dai genitori anziani e non è facile per nessuno gestire improvvisamente distanze forzate che creano gelo emotivo soprattutto se i figli sono in età infantile e se non si ha una seconda casa.
Dal punto di vista dei pazienti, invece, il maggiore disagio psicologico nei reparti riservati ai casi COVID19 è il non poter incontrare i propri familiari: questi ultimi, a loro volta, faticano ad avere informazioni dei propri cari dai reparti di degenza.
"E' richiesto a noi medici mediare queste situazioni di forte tensione - spiega Liberato Aceto- ed è per questo che credo sia importante anche per noi un sostegno psicologico. Sono molti i casi di pazienti che reagiscono con manifestazioni di stress perché magari vorrebbero firmare e tornare a casa, ma devono invece rimanere sotto controllo in ospedale per il rischio di crisi respiratorie ancora possibili anche nel caso in cui sia passata la febbre.
"Siamo tutti colpiti dal punto di vista psicologico - conclude Liberato Aceto - ma noi medici dobbiamo esorcizzare la paura di poter trasmettere il virus e la paura del dopo. La domanda che ci poniamo è: sarà la stessa cosa per noi medici dopo quest'emergenza?" (FONTE ANSA).