​150 anni dalla Breccia di Porta Pia, i fatti raccontati da Nicolangelo D'Adamo

approfondimento mer 16 settembre 2020

Vasto "Con la nascita del Partito Popolare di don Luigi Sturzo nel 1919 e con i “Patti Lateranensi” si arrivò ad una definitiva bilaterale composizione del dissidio e il 20 settembre cessò di essere considerato Festa Nazionale"

Attualità di Lea Di Scipio
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​150 anni dalla Breccia di Porta Pia, i fatti raccontati da Nicolangelo D'Adamo ©personale - web
​150 anni dalla Breccia di Porta Pia, i fatti raccontati da Nicolangelo D'Adamo ©personale - web

VASTO. "All’alba del 20 settembre del 1870 l’esercito italiano entrò a Roma: la conquista della 'Città Eterna', per annetterla al giovane Regno d’Italia, era compiuta!".

Oggi ricorrono i 150 anni dalla presa di Roma, episodio del Risorgimento noto cone "Breccia di Porta". Abbiamo intervistato per l'occasione Nicolangelo D'Adamo, ex dirigente scolastico vastese appasionato di Storia, che continua come segue:

"Prima di arrivare, però, a quell’azione di forza, per la verità, il re Vittorio Emanuele II tentò la via diplomatica, fino ad arrivare a scrivere una lettera ufficiale con cui comunicava al Papa che il nuovo Regno non avrebbe rinunciato a Roma per nessun motivo. E così l'8 settembre, alcuni giorni prima dell'attacco, Gustavo Ponza di San Martino, senatore del Regno, andò a Roma e consegnò personalmente al papa una lettera autografa di re Vittorio Emanuele II, rispettosa, ma decisa, con cui annunciava al papa la necessità di annettere Roma al nuovo Regno. Ma il rifiuto di qualsiasi concessione da parte del Papa fu altrettanto rispettoso e fermo: ormai non c’erano più altri margini di trattativa.

Ma come si arrivò a quel punto di non ritorno?

Il desiderio e la necessità di porre Roma a capitale del nuovo Regno d'Italia erano già stati espressi da Cavour nel suo celebre discorso al Parlamento Italiano il 27 marzo 1861, ovvero solo 10 giorni dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia Fu il celebre discorso in cui Cavour parlò di 'Libera Chiesa in libero Stato'. Iniziarono così sottili azioni diplomatiche a Roma e soprattutto presso le cancelleria franco-spagnole per evitare ripercussioni negative negli Stati cattolici in caso di attacco militare allo Stato della Chiesa.

Esauriti tutti i tentativi diplomatici, preso atto del rifiuto assoluto di Pio IX di discutere il progetto di trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Firenze a Roma, Vittorio Emanuele si decise all’azione militare e affidò il comando dell’esercito (50.000 uomini) al generale Raffaele Cadorna.

Pio IX aveva minacciato di scomunicare chiunque avesse comandato di aprire il fuoco sulla città. Perciò alle ore 5 del 20 settembre a dare l’ordine di cannoneggiare Porta Pia non fu Raffaele Cadorna bensì il capitano d'artiglieria Giacomo Segre, di religione ebraica, che perciò non rischiava alcuna scomunica..

L’esercito pontificio, forte di 13.500 uomini, non reagì. Così l’attacco militare allo stato Pontificio si risolvette in una scaramuccia.

Finiva così il secolare potere temporale dei Papi.

La reazione di Pio IX fu immediata: Scomunicò il re Vittorio Emanuele II e si dichiarò suo 'prigioniero politico' . Poco più di un mese dopo, il primo novembre 1870, Pio IX firmò l'enciclica Respicientes ea nella quale dichiarava "ingiusta, violenta, nulla e invalida" l’occupazione dello Stato della Chiesa. E nel 1874 con il Non expedit si oppose alla partecipazione dei cattolici alla vita politica con conseguenze incalcolabili per la storia d’Italia.

Il governo italiano tentò di comporre il dissidio promulgando la Legge delle Guarentige nel maggio del 1871. Quella legge assegnava alla Chiesa l'usufrutto di quei beni che ora appartengono alla Città del Vaticano, e inoltre conferivano al Papa una serie di garanzie a tutela della sua indipendenza. Ma questo tentativo di compromesso,purtroppo, non venne mai accettato né da Pio IX né dai suoi successori.

Solo con la nascita del Partito Popolare di don Luigi Sturzo nel 1919, e soprattutto con i “Patti Lateranensi” si arrivò ad una definitiva bilaterale composizione del dissidio e il 20 settembre cessò di essere considerato Festa Nazionale, come era stato stabilito dopo il trasferimento della capitale d’Italia a Roma il 3 febbraio 1871".

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