La Spataro di Gissi a lezione con la senatrice Liliana Segre

Omnicomprensivo mer 31 ottobre 2018

Gissi "La memoria rende liberi: non dimenticate Janine"

Cultura e Società di La Redazione
3min
Liliana Segre ©tpi.it
Liliana Segre ©tpi.it

GISSI. Interroga Liliana Segre, interroga le coscienze dei tanti ragazzi e giovani studenti presenti (tra cui anche quelli delle Scuole Secondarie di I grado dell’Omnicomprensivo Spataro di Gissi, accompagnati dalla Dirigente scolastica, la Dott.ssa Aida Marrone, e da alcuni docenti) in uno strapieno Auditorium del Rettorato dell’Università D’Annunzio di Chieti, dove il Magnifico Rettore, Sergio Caputi, le ha conferito il titolo di membro onorario del corpo accademico.

Domande semplici, ripetute dolcemente, mentre la senatrice a vita ripercorre, come in un lucidissimo flusso di coscienza, le tappe dolorose dell’esperienza che le ha cambiato la vita, fin da quando, bambina, dovette subire il trauma dell’allontanamento da scuola, in seguito all’approvazione delle leggi razziali da parte del regime fascista.

Come si può accettare, da un girono all’altro, a soli otto anni di esseri strappati ai propri insegnati e compagni di classe? Come si entra a 13 anni in un carcere? Come si trova la forza di consolare un padre che è tuo compagno di cella e soffre perché non ha saputo proteggerti?

La cella 202 del quinto raggio del carcere di San Vittore è anche quella in un cui la Segre ha imparato quanto un piccolo gesto possa essere addirittura salvifico. Da quella stessa cella sembra provenire il suo appello ai ragazzi presenti: ‘Viviamo un tempo difficile in cui non è obbligatorio avere tutto dalla famiglia, in cui i genitori possono vivere un momento di sconforto, combattere una malattia, aver perso il lavoro. Date un abbraccio ai vostri genitori. Fate sentire loro il vostro affetto’. Riecheggia l’esortazione, al contrario, del Papa buono Giovanni XXIII che invitava i genitori a portare, tornando a casa, una carezza ai loro bambini. Oggi, sembra dire Liliana Segre, possono essere anche i genitori ad avere bisogno di quella carezza.

E continua il racconto della senatrice con altri interrogativi.

Come si sta, ammassati dentro un vagone, senza sapere cosa ti aspetta? Cosa significa affrontare questo viaggio?

‘Anche io sono stata una richiedente asilo e mi è stato negato, sono stata clandestina’ spiega la Segre, con una chiara allusione al tema attualissimo e delicatissimo dell’accoglienza dello straniero.

Dei 605 saliti su quel treno ne tornarono a casa soltanto in 22.

‘Come si sta davanti alla morte? In silenzio. Ritagliate un minuto di silenzio nella vostra giornata, - è un altro appello della senatrice a vita- state con la vostra coscienza: è un momento prezioso di crescita contro il rumore che ci fa diventare sordi e indifferenti’.

Ancora. Come si può perdere in pochissimo tempo la propria identità appena varcato il cancello di Auschiwtz? Come fai ad accettare che in quel luogo, lo stesso in cui sei costretta a vivere, venga praticata sistematicamente la sopraffazione dell’uomo sull’uomo? E come puoi trasformarti tu stesso in un lupo avido nella lotta per la sopravvivenza? Liliana Segre racconta il suo rimorso per non aver avuto neppure il coraggio di chiamare l’ultima volta per nome la sua compagna di lavoro e di schiavitù nella fabbrica del campo, mentre la conducevano nelle camere a gas in seguito ad un infortunio. Janine. Si chiamava così, era francese, di vent’anni, bionda, dolcissima. Ed è proprio di Janine che la senatrice parla sempre nei suoi incontri con gli studenti, invitando gli insegnanti a far scrivere di questa giovane vita barbaramente spezzata. Per non dimenticarla più.

Eppure, nonostante tutto questo orrore, mentre Il corpo diventava scheletro, la mente volava aldilà di quei fili spinati e si aggrappava ad ogni segnale di speranza, al miracolo della primavera che tornava financo dentro quel campo.

E così l’ultima domanda: perché ce l’abbiamo fatta?

E l’ultimo appello: ‘Ragazzi, non dite mai <Non ce la faccio>. Ho visto cosa porta a fare, per restare vivi, la forza della disperazione. Non diamoci per vinti. Mai!’

Una volta diradate le nebbie, negli occhi di un sopravvissuto resta tutto lo stupore per il male altrui. Ma anche un brivido per il male di cui ci si sarebbe potuti macchiare. L’ultimo episodio raccontato dalla Segre riguarda, infatti, un momento cruciale della sua vita, quando lei, di fronte alla tentazione di farsi giustizia da sé, impugnando una pistola di un ufficiale delle SS che l’aveva scaraventata a terra davanti a lei, capì che non avrebbe mai potuto compiere un gesto simile: uccidere un altro uomo. ‘È il momento - conclude la Segre - in cui ho scelto di diventare la donna libera e la donna di pace che sono stata fino ad oggi’.

La Redazione della Scuola

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