L'affido condiviso e la responsabilità genitoriale

Il principio giuridico ven 31 agosto 2018
Lavoro ed Economia di Erika Cieri
4min
Il principio di bigenitorialità ©Web
Il principio di bigenitorialità ©Web

ABRUZZO. Accade, a volte, che l’ex coniuge si comporta da ex genitore e ignora impegni, dimentica promesse, trascura esigenze, risulta assente dalla vita dei figli.

E’ provato che una custodia “partecipata” dei genitori offre diversi vantaggi. Ricerche recenti infatti dimostrano una diminuzione del conflitto coniugale e dei suoi effetti positivi sui bambini. L’affido condiviso vuole tutelare la genitorialità materna e paterna, coinvolgendo entrambi i genitori. Riuscire però a mantenere separato però ciò che appartiene al rapporto marito-moglie da quello bambino-padre o madre, risulta spesso complicato.

Nella lite giudiziaria convogliano dolori, sofferenze, frustrazioni, inadeguatezze, impotenza e tanta, tanta rabbia. In modo promiscuo, molte volte i figli sono tirati dentro la guerra dei coniugi, trascurati nelle loro vere esigenze, trasformati in “beni” da dividersi. Ciò che risulta giusto per gli adulti, inoltre, come ad esempio lo spartire equamente la permanenza nella casa dell’uno e dell’altro, può non esserlo in relazione alle esigenze dei più piccoli. In una fase che per gli adulti può essere molto dolorosa, a volte lacerante, molte volte conflittuale, tenere sempre conto del vissuto dei figli può essere difficile. I figli possono diventare, allora, lo strumento del conflitto o della difficoltà a separarsi degli adulti, con danni importanti per il loro sviluppo psichico.

La bigenitorialità è un principio consolidato da tempo in altri ordinamenti europei ed è presente anche nella “Convenzione sui diritti dei fanciulli” sottoscritta a New York il 20.11.1989 e resa esecutiva in Italia con L. 176 del 1991.

In Italia, la legge 54/2006, riconosce il principio della bigenitorialità attraverso l’affido condiviso, per i figli di coppie separate anche non sposate. L’art. 337 ter del Codice Civile dice testualmente:

“Il figlio minore ha il diritto di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale.”

Bigenitorialità non significa trascorrere uguale tempo con entrambi i genitori, ma significa partecipazione attiva da parte di entrambi i genitori nel progetto educativo, di crescita, di assistenza della prole, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell’evento della separazione.

Non sempre l’affido condiviso, inteso come scelta del principio di bigenitorialità, può essere la scelta migliore per il minore. Infatti, in sede di separazione il giudice quando adotta i provvedimenti relativi ai figli deve farlo nell’esclusivo interesse morale e materiale della stessa, quindi valutare se affidarli ad entrambi o ad uno solo di essi, stabilire i tempi e le modalità di permanenza presso ciascun genitore, determinare la misura del mantenimento. Se non vi sono ragioni gravi, la scelta ricade sull’affidamento condiviso perché l’interesse del minore si configura nel mantenere con entrambi i genitori un rapporto sereno ed equilibrato; in caso contrario potrebbe optarsi o per un affido monogenitoriale (o esclusivo) o addirittura affidamento a terza persona.

Spetta, dunque, al giudice, valutare la rispondenza o meno dell’affidamento condiviso nell’interesse del minore, configurandosi la scelta della bigenitorialità come scelta preferenziale e quella della monogenitorialità come scelta residuale. La scelta del giudice sarà rivolta sempre verso la bigenitorialità; solo nell’ipotesi in cui dalla sua valutazione ritiene che l’affido condiviso ostacola la crescita serena ed equilibrata del minore dovrà optare, necessariamente, sulla scelta residuale, ovvero della monogenitorialità.

Tuttavia, la bigenitorialità rimane quasi del tutto inapplicata nel suo significato più profondo e senza sufficienti tutele per il rispetto del suo stesso principio fondamentale ovvero il legittimo diritto dei figli a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori.

Le disposizioni sulla carta non assicurano che la coppia genitoriale continui a collaborare o che inizi proprio dalla fine del matrimonio. I rapporti possono essere compromessi in realtà anche se è un solo adulto a rimanere con i più piccoli, gravato, e a volte sopraffatto, dalle responsabilità. Succede quando l’ex coniuge si comporta da ex genitore, ignora impegni, dimentica promesse, trascura esigenze. Due adulti si sono scelti, amati, poi arrivano a detestarsi, non sono più in grado di parlarsi, si trasformano in parti processuali. L’ex con facilità sembra diventare una persona incapace, insensibile e cattiva. Indirettamente questa immagine viene passata ai figli, dimenticando che invece per loro, anche se non ci fa piacere, rimane solo mamma o papà.

Le situazioni possono complicarsi quando compaiono nuovi compagni e non si sopporta l’idea che il proprio bimbo orbiti affettivamente intorno a queste presenze. Allora si agisce sul piano emotivo: “Non mi lasciare, sei tutto quello che ho, io e te non abbiamo bisogno di papà/mamma”, diciamo in modo implicito. Madri o padri vendicativi possono trovare il modo di punire l’ex partner alienandolo. Gli studi dimostrano che spesso i bambini sono così disperati da non voler ferire il genitore con il quale vivono e arrivano a compiacerlo dicendo anche di non voler più vedere l’altro genitore.

Genitorialità reciproca vuol dire impegno emotivo dei due genitori per mettere al primo posto il benessere dei figli, proteggerli dagli effetti negativi della rottura della famiglia. Significa comunicare in modo frequente anche quando si preferirebbe non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, favorirsi a vicenda nel rapporto con i bambini. Riuscire a far sentire ai più piccoli che l’infelicità di certi momenti è una questione tra grandi e che tutto quello che li riguarda, l’amore per loro, invece è ancora intatto.

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