Liti con la pubblica amministrazione e spese di difesa

lun 14 gennaio 2019
Veicoli al crocevia di Claudio de Luca
2min
Aula di tribunale Vasto ©Vastoweb
Aula di tribunale Vasto ©Vastoweb

Se l’opponente perde, paga le spese del processo; se vince, sarà la P.a. a pagare anche quelle di difesa.

E’ noto che le leggi di depenalizzazione, precedenti la “689”, nulla disponevano in ordine alla sorte delle spese di giudizio; per ciò stesso, riconosciuta la natura civile del relativo processo, veniva operato pacifico ricorso alle regole generali poste dagli articoli 91 e seguenti del Codice di procedura civile Successivamente, a far tempo dal 1981, la legge di modifica del sistema penale dedica all’argomento il comma 11 dell’art. 23, seppure senza prevedere espressamente alcunché nel caso di accoglimento della domanda. Perciò, trattandosi di ‘modifiche intervenute al sistema penale’, l’interprete sarebbe fortemente tentato di affermare che la disciplina delle spese deve essere regolata come nel campo penalistico. Cosicché, con la sentenza di condanna, l’opponente deve conferire le spese processuali (art. 488 Cpp), mentre, con l’accoglimento del ricorso, non corrisponderebbe le spese del processo, permanendo a suo carico solo quelle di difesa. Ma il legislatore non sembra andare in tale direzione.

Non può ignorarsi che la sanzione penale interessa l’ordinamento generale mentre quella amministrativa concerne soltanto l’ordinamento della Pubblica amministrazione che – nell’irrogare l’afflizione – esercita quella particolare potestà da cui nasce il diritto a conseguire la somma. Il procedimento giurisdizionale mira appunto a garantire il corretto esercizio di detta potestà; e quindi, rispetto al giudice, Pubblica amministrazione e privato si pongono come parti, con il risultato che ciascuna potrà essere origine di spese per l’altra. Quindi per le spese occorre fare riferimento ancora alle regole della procedura civile, con una particolarità che si rinviene proprio nel comma 11 dell’art. 23 della legge n. 689/1981: e, nel caso di soccombenza, il legislatore ha escluso il potere del Giudice di compensare le spese tra le parti. Il divieto può spiegarsi con il fatto che, in pratica, viene riconosciuta conforme a legge (implicitamente o esplicitamente) l’ordinanza-ingiunzione per un fatto illecito, nell’esercizio legittimo della potestà punitiva della P.a.; per ciò stesso, le spese seguono le regole del processo penale, mentre per quelle di difesa vale il criterio della soccombenza (con applicabilità dell’art. 92, c. 1, P.c, in punto di superfluità). Insomma, se l’opponente perde, paga le spese “vive” del processo e quelle causate per l’opposizione alla P. a.; ma se vince, sarà la Pubblica amministrazione a dovere pagare anche quelle di difesa.

Neppure va scordato che, in materia tributaria comunale, proprio sulla scorta della suddetta concettualità, dispone esplicitamente l’art. 15 del decreto delegato n. 546/1992, relativo al nuovo processo tributario. In tale sede, si prefigura il procedimento di riscossione delle spese processuali dinanzi alle Commissioni tributarie, interamente riconoscibili all’Ente per i tempi di lavoro utilizzati dal dipendente, mai al funzionario responsabile inteso quale persona fisica che – comparendo in giudizio per delega – altro non fa che esercitare una funzione dovuta per legge, ricompensabile nelle competenze stipendiali. Sarà evidente allora che Pubblica amministrazione e cittadino stanno sullo stesso piano di parità sempre, e non solo quando più potrebbe far comodo al ricorrente.

Claudio de Luca

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