Lia Giancristofaro, docente universitaria e super mamma di due bambine: "Tutto si può fare"

festa della mamma dom 13 maggio 2018
Attualità di Sara Del Vecchio
5min
Lia Giancristofaro ©Vastoweb
Lia Giancristofaro ©Vastoweb

VASTO. Fino a qualche ventennio fa una delle mansioni principali della donna, se non l'unica, era quella di fare la mamma, di occuparsi della cura dei figli e della casa. Nel corso degli anni la figura femminile è andata incontro ad un'emancipazione sempre maggiore. Gran parte delle donne oggi ricopre incarichi lavorativi di grande responsabilità, dopo aver raggiunto obbiettivi importanti e vantando una carriera ricca di soddisfazioni. Molte di loro fra un successo ed un altro assecondano anche la vocazione alla maternità, compiendo sacrifici e sottostando a qualche privazione ma riuscendo alla fine a sentirsi pienamente realizzate.

Lia Giancristofaro, mamma di due splendide bambine, è docente di Antropologia Culturale presso l'Università "D'Annunzio" di Chieti e incarna perfettamente la donna che è riuscita a destreggiarsi fra mondo accademico e vita familiare, con tanti sacrifici ma sempre grande voglia di farcela.

Raccontaci qualcosa della tua carriera che ti ha portato dove ti oggi oggi.

Dopo la laurea, che ai miei tempi formava in modo piuttosto teorico, ho proseguito gli studi universitari tramite master e corsi di specializzazione nei settori che più mi sembravano utili per sviluppare una professionalità moderna. A 27 anni mi si è presentata un’occasione di lavoro, ho colto la palla al balzo e ho collaborato fino al 2000, cioè fino a 30 anni, con la sede italiana della Renaissance School, Ontario, Canada, facendo un lavoro di segretariato un contesto multiculturale che mi ha davvero aperto gli orizzonti. Da quell’esperienza, è maturata in me la forza di fare il Doctorat d’études approfondies in Histoire et Civilisation presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (Parigi).

Non ho lasciato il lavoro per mantenere la mia indipendenza economica, dunque sono stati anni durissimi, per molto tempo non sono uscita il sabato sera, ma ne è valsa la pena perché volevo arrivare a livelli più alti. Lavoravo al PC fino alle 3 di notte anche nel mese di agosto, ma il curriculum cresceva e a 31 anni ho vinto un concorso per fare il Dottorato con l’assegno di ricerca (in Lingua e Letteratura delle Regioni d’Italia, Chieti). Dopo il secondo Dottorato, a 34 anni, ho avuto il mio primo insegnamento a contratto all’Università di Chieti e mi sono sposata. Considerando le incertezze della carriera accademica, e anche per arrotondare la mia retribuzione di precaria, mi sono aperta una partita Iva, ho diretto una rivista (la Rivista Abruzzese, fondata nel 1948) e ho lavorato in diversi programmi di ricerca nazionali ed europei. Gli anni della partita Iva mi hanno dato realismo e capacità organizzativa che oggi metto a frutto alle dipendenze dell’ente pubblico. A 41 anni, infatti, ho vinto, con 27 concorrenti il concorso da ricercatore in Scienze demo-etno-antropologiche all’Università di Chieti. Ora sono professore associato.

Hai da sempre avuto il desiderio di diventare mamma o da ragazza, magari all’inizio degli studi, ci sono stati momenti in cui hai pensato di voler inseguire solo la carriera lavorativa?

Pur amando moltissimo lo studio e il lavoro, non ho mai escluso la maternità. D’altronde, ci imbattiamo ogni giorno nelle lavoratrici madri: medici, impiegate, insegnanti, artigiane, operaie, analiste, avvocati, giornaliste, architetti, tecnici specializzati, coltivatrici dirette, pescatrici e camioniste, dirigenti d’azienda, commesse, operatrici sanitarie e pilote d’aereo. Certamente si tratta di una vita dura, ma si può fare, anzi, ho sempre pensato che l’indipendenza lavorativa avrebbe garantito ai miei figli una sicurezza in più. Ricordo che mio padre, quando ero piccola, temeva per il futuro di moglie e figli, se gli fosse successo qualcosa. Quando anche mia madre cominciò a lavorare, tutta la famiglia si rasserenò. Ovviamente, la condizione delle lavoratrici madri impone sacrifici e rinunce: noi tutte soffriamo per la mancanza di tempo da dedicare a noi stesse, e io di questo ero perfettamente consapevole quando ho scelto di essere madre.

A che età sei diventata mamma per la prima volta e a che punto della tua carriera ti trovavi?

Avevo 34 anni, ero sposata da tre mesi e non pensavo che sarei rimasta incinta così presto. Dopo la sorpresa iniziale ho organizzato il mio lavoro in modo da potermi prendere almeno un mese per il parto. La gravidanza procedeva bene e francamente mi sembrava assurdo che la bambina crescesse da sola senza che io dovessi fare nulla: la gestazione è stato il progetto più facile della mia vita! Ho lavorato tranquillamente fino alle doglie, che mi hanno colta venti giorni in anticipo e non ancora avevo finito di preparare il cosiddetto corredino. Per fortuna c’erano mia madre e mia suocera che quel giorno sono andate a comprare le cose che mancavano. Dopo le dimissioni dall’ospedale, ho capito che… proprio non avrei avuto tempo per me stessa, e nonostante questo, come tante altre donne, mi sono imbarcata in una seconda gravidanza.

Il tuo mestiere e la materia di cui ti occupi ti impongono anche spostamenti in giro per il mondo, come riesci tuttora a tenere insieme famiglia e occupazione?

Ogni settimana vado a Chieti e a Roma, e almeno una volta al mese vado all’estero, a seconda del progetto in cui sono impegnata. Il pendolarismo quotidiano è routinario, dunque la prole si riesce a gestire ricorrendo al doposcuola e alla collaborazione di persone fidate. Le cose si complicano con le trasferte all’estero, perchè anche il padre delle bambine è impegnato fuori. L’organizzazione è fondamentale: prima di partire faccio lo schema di tutta la settimana per accertarmi di non aver lasciato nulla al caso, eppure l’imprevisto può sempre capitare. In questi casi, le lavoratrici madri un grande alleato: la comunicazione, che permette di risolvere i problemi anche dall’altro capo del mondo. Per questo, conviene controllare l’ansia: è inutile preoccuparsi se i propri figli sono con persone fidate. Preferisco trasmettere calma e fiducia, le bambine si sono abituate alle trasferte della mamma e il tempo che passiamo insieme è sereno e di qualità.

Tu sei l’esempio di una donna che è riuscita a realizzarsi sia in ambito lavorativo che familiare, che consiglio daresti alle giovani donne di oggi che vorrebbero fare carriera o e allo stesso tempo mettere su famiglia, visto che la società troppe volte impone un aut-aut?

Tutto si può fare, ma ci vogliono dedizione e senso di responsabilità. L’approccio al lavoro deve essere realista, di aut-aut me ne sono capitati parecchi. Per esempio, quando avevo le figlie piccole, mi avevano offerto il coordinamento di un importante progetto di antropologia applicata in Sudan, Africa, proprio per la prevenzione della violenza alle donne, e ho dovuto rinunciare. Lavori simili, che trattengono all’estero per 2-3 mesi di fila, li potrò fare solo quando le mie figlie saranno grandi. Le lavoratrici che, come me, realizzano progetti, talvolta hanno una maggiore possibilità di scelta. Per questo, suggerisco alle giovani donne di investire sulla propria professionalità, in modo da migliorare la propria posizione contrattuale. Essere madri non significa essere lavoratrici incomplete, professionisti a metà, ma persone creative, risolute e responsabili, che a volte hanno una marcia in più.

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