Il racconto dei vastesi a Londra: “Non stiamo mandando i figli a scuola”

testimonianze mer 18 marzo 2020

Vasto Sandra Sardoni: “Siamo in isolamento volontario, ma non siamo gli unici, ora ci stanno seguendo anche altre famiglie”

Attualità di Lea Di Scipio
3min
Il racconto dei vastesi a Londra: “Non stiamo mandando i figli a scuola” ©vastoweb.com
Il racconto dei vastesi a Londra: “Non stiamo mandando i figli a scuola” ©vastoweb.com

VASTO. Mentre Boris Johnson comincia a fare i primi passi indietro, dopo aver minimizzato l’emergenza Coronavirus e dichiarando per ora la semi-quarantena, tanti italiani che si trovano in Gran Bretagna vivono ore di preoccupazione.

La vastese Sandra Sardoni vive a Londra da qualche anno con la sua famiglia, il marito Carmine Mancusi e due figli di 1 e 5 anni.

L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci raccontare cosa stanno vivendo.

“Abbiamo deciso di non mandare i bambini a scuola da oggi (17 marzo). Ho chiamato la maestra di mio figlio più grande e domani vado a prendere un po’ di compiti da fargli fare. Ho capito che la scuola non si è ancora organizzata per l’home schooling, racconta la donna, la cui prima urgenza è stata quella di salvaguardare la salute dei figli.

Per quanto riguarda gli approvvigionamenti famigliari: “la spesa la facciamo on line, ma ora la stanno facendo tutti e già non ci sono più consegne disponibili per le prossime 3 settimane. Ma noi abbiamo fatto scorta”.

E ancora: Nel nostro quartiere a 5 minuti a piedi da casa (ma non posso sapere esattamente dove), da che non c’erano quasi casi e comunque non nelle vicinanze, ad oggi risulta che ci sono ben 15 casi, spiega specificando che hanno la possibilità di monitorare la situazione attraverso un sito dove è possibile trovare aggiornamenti dei casi ogni giorno. Inserendo il proprio zip code (che identifica il palazzo in cui si vive) si possono vedere quanti sono i casi vicini alla propria abitazione. “Quelle che risultano sono persone che credo si trovano in ospedale e a casa”, aggiunge.

La domanda a questo punto è se abbiano considerato l’idea di tornare: “Il consolato ci ha fatto sapere che se vogliamo possiamo tornare in Italia prendendo un volo che porta a Fiumicino, ma costa 900£/persona. Nel caso non sapremmo come muoverci poi da Fiumicino, evitando di ammalarci”, afferma.

I due giovani genitori, intanto, stanno osservando le restrizioni stabilite per l’Italia: “Siamo in isolamento volontario, ma non siamo gli unici, ora ci stanno seguendo anche altre famiglie dei compagni di classe. Carmine ha iniziato a lavorare da casa già il 24 febbraio, cioè all’indomani della notizia che in Italia c’erano i primi casi. Ha potuto farlo perché la sua è un’azienda che lavora nelle tecnologie e quindi lo smartworking per loro è routine o quasi. Poi dal 9 marzo gli hanno invece vietato di andare in ufficio. Ieri Boris ha comunque introdotto il lavoro da casa come misura necessariamente da seguire, ove il lavoro lo consenta”.

Le loro preoccupazioni sono anche per i famigliari che sono in Italia. La settimana scorsa ero molto preoccupata perché i miei continuavano a fare qualche uscita benché emergenziale e il solo pensiero di pensarli malati e da soli e lontani mi ha distrutto. Ora per fortuna sono segregati. Per noi ho cominciato ad avere paura dopo il discorso di Boris della settimana scorsa, perché non ci siamo sentiti affatto sicuri del fatto che la nostra salute fosse tutelata, viste le intenzioni di farci acquisire immunità di gregge. Questa settimana stiamo meglio, sono in un gruppo facebook di mamme italiane e in moltissime non li mandano più a scuola, per cui mi sento anche confortata sul fatto che stiamo facendo la cosa migliore”, ci racconta Sandra.

Ed ecco le impressioni su quello che sta succedendo intorno: “Inoltre sono parte di un gruppo di quartiere e vedo che si stanno mobilitando in tantissimi per offrire assistenza (cibo, medicine) alle persone anziane che si sono già autoisolate volontariamente da settimana scorsa. Usciamo però nel giardino del palazzo, che è privato, non ha giochi ne panchine per cui non c’è niente da toccare e non ci va nessuno perché è oggettivamente brutto. Per uscire usiamo guanti, ma solo quando strettamente necessario”.

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