Revenge Porn: il messaggio distorto del "se l’è cercata, se lo merita"

No alla Violenza mer 25 novembre 2020

Vasto La riflessione del giovane Sergio Mucci

Attualità di La Redazione
4min
Revenge Porn: il messaggio distorto del "se l’è cercata, se lo merita" ©Web
Revenge Porn: il messaggio distorto del "se l’è cercata, se lo merita" ©Web

VASTO. "Siamo nella provincia di Torino. Una maestra d’asilo è stata licenziata dopo che un suo video intimo, inviato ad un ex fidanzato, è stato condiviso senza alcun consenso in una chat di calcetto. Il filmato è stato intercettato dalla moglie di uno dei partecipanti che, dopo averlo diffuso alle altre mamme, ha contattato la maestra, minacciandola di rendere il contenuto di dominio pubblico. La notizia giunge, infine, alla direttrice dell’asilo che costringe l’educatrice a dimettersi dall’incarico, rendendo note le motivazioni.

Questa giovane insegnante è una delle tante vittime del cosiddetto “Revenge Porn” o, per meglio dire, di una condivisione non consensuale di materiale privato: io ti mando una foto o video in atteggiamenti intimi e tu, violando la consensualità dell’azione, lo condividi a terze parti. Il 19 luglio 2019 è stata approvata in Parlamento la legge n.69 che, all’articolo 10, introduce in Italia il reato di “Revenge Porn”, sotto la denominazione di «diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito». La pena si applica a chi, una volta acquisito illegalmente materiale audio-visivo personale, diffonde lo stesso senza il consenso delle persone rappresentate, al solo scopo di recare un danno fisico e morale. La condanna è aumentata se i fatti sono commessi da un individuo legato da relazione affettiva alla persona offesa, usando strumenti informatici per la divulgazione delle immagini o dei video in oggetto.

Quali sono le conseguenze per una donna vittima di un reato simile nella vita di tutti i giorni?

Dal momento in cui la notizia della maestra di Torino è rimbalzata su tutte le testate, è partita un’assurda e vergognosa procedura di victim blaming, secondo cui si cerca di dare la colpa a chi il reato lo ha subito. Questo malato processo di colpevolizzazione della vittima è entrato, nella narrativa comune, con il messaggio distorto del «se l’è cercata, se lo merita», figlio di una cultura patriarcale, a tratti misogina, che privilegia i carnefici e condanna chi è sottoposto al fango mediatico. A rincarare la dose del problema è la narrazione sbagliata fornita da alcuni media nazionali e dall’opinione pubblica. Spesso le notizie vengono divulgate in modo alterato, creando nel lettore giudizi sbagliati a priori: in avvenimenti di cronaca femminile, emergono dall’articolo dettagli – o false scusanti, ad esempio gelosie infantili - che sono irrilevanti ai margini del processo e forniti quasi a giustificare l’atto della vittima. In un articolo di una nota testata nazionale, è stata data voce ad una delle persone coinvolte nella trasmissione di materiale intimo della maestra torinese, che ha giudicato come “goliardico” il gesto alla base del reato. Questa tipologia di informazione rischia di accrescere una cultura dell’odio che considera le donne come stigmatizzate, ritenute ingiustamente colpevoli per comportamenti sessuali che si ritengono - a torto - in contrasto con l’ideale femminile sostenuto dalla società.

La giovane maestra d’asilo è stata doppiamente vittima di una colpa mai compiuta e molte sono le vicende passate che hanno riguardato episodi di questa gravità. Il 13 settembre 2016 Tiziana Cantone è stata ritrovata senza vita nella sua abitazione di Mugnano. La giovane napoletana è stata sottoposta ad un’imponente gogna mediatica dopo la diffusione di video privati che la ritraevano in pose intime. Da quel giorno iniziò un’agonia senza fine: la sua vita privata divenne un videogioco, manipolato da milioni di “internauti” che distrussero l’identità di una ragazza.

In un mondo che si muove verso l’intelligenza artificiale e la rivoluzione digitale, Internet diventa la frontiera di una nuova forma di comunicazione, con i suoi limiti ed effetti. Il social network per eccellenza, Facebook (all’epoca “FaceSmash”), è nato, secondo Ben Mezrich, copiando le foto di ammissione di tutte le ragazze del campus di Harvard per scoprire le ragazze più carine. Telegram, invece, permette la creazione di grandi gruppi in anonimato, dove avviene l’odioso scambio di materiale pedopornografico e informazioni private e sensibili di tante donne coinvolte. Sulla piattaforma esistono migliaia di canali tematici, chiusi e riaperti migliaia di volte, attraverso i quali avviene la degradante pratica della mercificazione del sesso.

Dalla vicenda di Torino emergono importanti crepe nella nuova cultura del sapere. La legge, spesso, non protegge la donna dal potenziale distruttivo che provoca la pubblicazione del proprio corpo.

Ciò che manca alla società dell’oggi è un’educazione sentimentale basata sul consenso e sulla consapevolezza. Se la pratica dello scambio lecito di contenuti privati online è sempre più frequente (il sexting), occorre porre dei limiti alla violenza, dal momento che con le nuove tecnologie sono cambiati i confini di ciò che è percepibile come «aggressione virtuale». Quando una dirigente d’asilo, invece di mostrare solidarietà e tutelare la correttezza delle azioni della maestra, espone il suo caso al pubblico ludibrio, capisci di essere ancora nel posto sbagliato.

Tutti noi, ragazzi e ragazze, abbiamo il dovere di combattere insieme per sradicare un male comune e condurre l’emancipazione della sensualità femminile fuori dalla violenza di massa e dal controllo della società".

Sergio Mucci

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