L’antica tradizione dell’uccisione del maiale in casa: ventricine, salsicce e prosciutti

#abruzzesità mar 24 gennaio 2023
Cultura e Società di La Redazione
3min
L’antica tradizione dell’uccisione del maiale in casa: ventricine, salsicce e prosciutti ©Vastoweb
L’antica tradizione dell’uccisione del maiale in casa: ventricine, salsicce e prosciutti ©Vastoweb

VASTO. Sono giorni di grande freddo su tutto l'Abruzzo e ognuno combatte l'ondata di maltempo a modo suo. Nella giornata di ieri abbiamo pubblicato una foto sulla nostra pagina Facebook di una cantina dell'alto vastese che conteneva quello che per ogni abruzzese forte e gentile è il suo tesoro nel periodo invernale: ventricine, salsicce e prosciutti. Uno scatto che ha entusiasmato i nostri lettori.

Ci sono arrivate tante altre foto e commenti e abbiamo capito come sia ancora radicata la tradizionale uccisione del maiale in casa e allora ecco la sua storia e alcune foto che ci avete inviato.

LA STORIA. Uccidere e “ spezzare” il maiale in casa, in Abruzzo è una tradizione, un rito, che si perde nella notte dei tempi, e ancora oggi, in case contadine, e non, viene mantenuta viva, grazie ad una legge speciale regionale, che permette di effettuare tutto questo tra le mura domestiche, nei mesi di dicembre e gennaio.

Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di capire da dove nasce questa tradizione, e senza correre troppo indietro negli anni ci fermiamo negli anni ’50, nel secondo dopo guerra. In quei anni l’Abruzzo, come tutte le regioni italiane con un economia incentrata sull’agricoltura, viveva in uno stato di sostanziale povertà. La maggior parte delle famiglie erano contadine, i più fortunati anche proprietari terrieri, ma molti vivevano di mezzadria. La carne non era un cibo per le classi meno abbienti, era considerato un alimento per ricchi. Le famiglie povere contadine si nutrivano principalmente di ortaggi, legumi, pane e pasta rigorosamente fatta in casa ( leggi l’articolo fatto sui taglioni e fagioli). Le famiglie più ricche, o i “padroni” che dir si voglia, acquistavano in primavera un maialino, e lo lasciavano in custodia in campagna, affinché i contadini potessero crescerlo e allevarlo. Nei mesi di dicembre o gennaio, il maiale, cresciuto, veniva ucciso e diviso in due: metà alla famiglia proprietaria, metà ai contadini che lo avevano cresciuto e allevato.

Quante volte abbiamo sentito il detto : “ del maiale non si butta niente”. Una frase che sembra consumistica, figlia del nostro tempo, in realtà in quelle poche parole si cela la miseria e la fame che si viveva in quei anni: il maiale spesso era l’unica fonte di proteine ( a parte i legumi), delle famiglie più povere. Venivano conservati persino il sangue ( sanguinaccio), le budella ,le orecchie e i piedi, insomma veramente tutto. La carne di maiale, veniva utilizzata per riempire le vuote dispense, visto che altre carni, come quella dei vitelli, erano finalizzati al commercio e non al consumo diretto.

Racconti antichi narrano ad esempio di quanto potesse essere una tragedia, per una famiglia contadina, la morte di una vacca, che non era mai destinata al consumo domestico. Verosimilmente anche la morte di una pecora era un danno economico: gli ovini venivano allevati per il latte e la lana, e solamente la morte poteva destinarla al consumo ( se la carne non era contaminata). Il maiale, quello si, il suo allevamento era finalizzato al consumo.

Oggi i tempi sono cambiati, viviamo un era consumistica, fatta di centri commerciali, di allevamenti di massa, a volte al limite dell’etica umana, ma la tradizione dell’uccisione del maiale resta sempre intatta e per tanti motivi va difesa e tutelata.

In primo luogo per la genuinità della carne: ancora oggi vi sono contadini che allevano pochi maiali, esclusivamente al fine di dividerne la carne tra amici e parenti. Questi vengono alimentati esclusivamente da prodotti genuini e sani. L’allevatore, non dovendo vendere la carne al supermercato di turno, ma riservandola a se stesso e conoscenti, darà poca importanza al peso dell’animale, quanto sarà interessato invece alla genuinità della carne.

In secondo luogo, “ fare le salsicce” è un momento di condivisione sociale familiare unico, al pari delle conserve di pomodoro. Uscire dal tram tram quotidiano, dai ritmi frenetici moderni, per stare insieme, nonni, zii, nipoti per mantenere vive le antiche tradizioni, e poi magari ritrovarsi attorno ad un camino e mangiare il famosissimo “ cif e ciaf” e carne alla brace. (FONTE RIDI ABRUZZO).

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