Elezioni regionali, il Partito Comunista: «Una deriva reazionaria e fascista»

L'analisi dom 17 febbraio 2019

Vasto "L’Abruzzo, però, non è quello che è uscito da questa competizione elettorale, non è l’Abruzzo di Salvini"

Politica di La Redazione
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Partito Comunista ©Vastoweb
Partito Comunista ©Vastoweb

ABRUZZO.

Riceviamo e pubblichiamo l'analisi del Partito Comunista abruzzese sull'esito delle elezioni regionali dello scorso 10 febbraio:

«Domenica 10 febbraio si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale Abruzzese, le prime elezioni dopo il 4 marzo 2018 che rappresentano, se pur a parole, una rivoluzione nella politica italiana. Sostenuto dai media nazionali come il governo del cambiamento,.

Dal voto abruzzese, con le dovute specifiche di una Elezione Regionale, si ha un dato fortemente preoccupante per la deriva che questo paese sta prendendo: una deriva reazionaria e fascista.

Dall’altra parte c’è la miopia politica di un centro sinistra incapace di fare un’analisi seria della situazione e spaccia per vittoria una sconfitta pesantissima sul piano politico e organizzativo.

Il vero vincitore di questa sfida è senza dubbio Salvini che è stato capace, la scorsa estate, di fare una “campagna acquisti” all’interno dei propri alleati storici che si è dimostrata proficua. Mettere nelle proprie liste Sindaci di centro destra, alcuni dei quali provenientiper familiarità, da quel sistema di potere democristiano che gestiva (nell’ombra) le aziende di Stato, svendute al grande capitale per pochi soldi. Basti pensare ai rapporti familiari, del “nostro” candidato della Lega, con un ex-sindaco e consigliere regionale del M.S.I., a dimostrazione che l’elettorato fascista da sempre è il serbatoio di riserva per gli interessi del capitale. Infatti, buona parte del successo elettorale di Salvini, circa 60.000 su 160.000 voti, viene da Forza Italia che ha un vero è proprio tracollo: meno 58.000 voti (7,66%) rispetto alle regionali del 2014 e meno 56.000 voti (5,49%) rispetto alle politiche dello scorso anno.

Però è innegabile che Salvini abbia pescato voti sia all’interno del Movimento 5 Stelle che all’interno di quell’elettorato di destra “confusionario” che nelle scorse politiche era rappresento da quella miriade di partiti qualunquistici di noti esponenti cattolici integralisti e addirittura anche di una azienda di telemarketing e di piccoli imprenditori.

I candidati Governatori in Abruzzo erano 4: Marsilio per il centro destra; Legnini per il centro sinistra; Marcozzi per il Movimento 5 Stelle e Flajani per Casapaund, unica forza minore presente a questa competizione.

Sulla presenza di Casapauond è bene fare una riflessione anche sul metodo di accesso per la presentazione delle liste alla competizione elettorale. La legge elettorale abruzzese prevede la raccolta di firme, per i partiti non presenti in parlamento, di 1.500 per ogni provincia e per essere ammessi bisogna essere presenti in minimo 3 province su 4. Pertanto il minimo di raccolta firme è di 4.500 per la presenza su 3 province e 6.000 per l’intero territorio regionale. Le liste di Casapound erano presenti in tre province tranne che in quella di Pescara, il che presuppone una raccolta di almeno 4.700/5.000 firme in tutto l’Abruzzo. Il dato strano è che Casapound raccoglie solo 2.560 voti, quasi la metà del numero delle firme necessarie per la presentazione delle liste, oltre ad avere una consistente perdita di voti, oltre 5.000, rispetto alle scorse politiche del 4 marzo ’18.

Possibile che a nessun magistrato venga in mente di fare un minimo di indagine per verificare la correttezza delle presentazioni delle liste?

Se il vero vincitore è Salvini, leader di quel partito che fino a qualche mese fa affermava che l’Abruzzo era un “peso morto”, chi ha indubbiamente perso è in primo luogo il Movimento 5 Stelle. Oltre a dimezzare i voti rispetto alle politiche del 2018, perde circa 23.000 voti rispetto alle scorse Regionali, dimostrando lo scarso spessore politico del candidato Governatore Sara Marcozzi e di tutto il gruppo dirigente Abruzzese del Movimento 5 Stelle, che a livello locale viene costantemente penalizzato dagli elettori. Giudizio espresso anche da Di Maio, all’indomani delle elezioni, che ha affermato che il M5S non deve presentarsi se non è pronto. Ma a questo punto sorge un quesito: con quale metodo il M5S sceglie il suo quadro dirigente? È inverosimile che nessuno si renda conto della pochezza politica della dirigenza abruzzese.

Altro sconfitto è il centro sinistra che oltre a perdere una Regione, come valore assoluto, perde una buona consistenza del proprio elettorato: circa 130.000 voti (15.95%) rispetto alle scorse Regionali. Tracollo dovuto soprattutto alla debacle del Partito Democratico che perde oltre 100.000 voti (14.37%) rispetto alle Regionali del 2014 e quasi 42.000 voti (3.14%) rispetto alle Politiche dello scorso anno. A questo punto sarebbe necessaria un’analisi completa, una vera e propria autocritica, da parte del gruppo dirigente del PD sulle politiche fatte negli ultimi anni e la deriva liberista che ha preso questo partito che si è trasformato nella fotocopia del centro destra.

È pur vero, però, che il centro sinistra, rispetto alle politiche passate, recupera circa 30.000 voti (10.41%) dovuti senza dubbio alla figura di Giovanni Legnini che con la sua lista (Legnini Presidente) raccoglie oltre 33.000 voti.

Giovanni Legnini è senza dubbio la più alta figura politica del centro sinistra abruzzese:

Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Editoria nel Governo Letta;

Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze nel Governo Renzi, ha esercitato, tra i vari incarichi, le deleghe alla ricostruzione e allo sviluppo della città de L’Aquila e dei territori dell’Abruzzo colpiti dal sisma del 2009.

Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, carica che ha mantenuto fino al settembre del 2018.

Legnini, pur non appartenendo più al PD, ne condivide le scelte politiche e, nel suo programma, individua nella linea economica avuta dai governi di centro sinistra, (sia a livello nazionale che regionale) la panacea per la risoluzione dei problemi. Caratterialmente è un uomo pacato, di indubbio valore morale. Viene dal gruppo dirigente del PCI berlingueriano e ne interpreta perfettamente la figura: sempre disponibile al compromesso, capace di capire “l’onda vincente”, ma essendo anche persona corretta ha richiamato su di se un elettorato che altrimenti non avrebbe votato. L’errore di Legnini è stato senza dubbio nel non aver avuto il coraggio di sbarazzarsi di quei personaggi opportunisti che lo hanno accompagnato in questa campagna elettorale, ne tantomeno di imporsi sul PD verso una non ricandidatura di Silvio Paolucci, il “rottamatore” della Sanità Pubblica Abruzzese e forse uno dei personaggi politici più odiati dai cittadini dell’Abruzzo. È anche vero però che Paolucci capolista del PD raccoglie 4.500 voti (ne aveva ricevuto quasi 8.000 nella scorsa tornata) di preferenza dimostrando che il PD della provincia di Chieti ha fatto quadrato intorno al suo capolista difendendo posizioni indifendibili. Infatti il PD della Provincia di Chieti perde 27.000 voti e quasi il 13% rispetto alle scorse regionali.

Giovanni Legnini, appartenente a quella sinistra radical-chic proveniente dagli anni ’70 e ’80 ha la base del suo elettorato formata da un proletariato imborghesito e da quella parte di movimento operaio (inquadrato nelle fila del sindacato e in modo particolare nella C.G.I.L.) a cui Lenin si riferiva come pericolo e definito (dallo stesso Lenin) “aristocrazia operaia”. Si è presentato con un progetto quasi innovativo, con una miriade di liste civiche a suo sostegno tra cui anche una dei sindaci abruzzesi (151 Sindaci e 11 vicesindaci su 304 comuni, quindi più della metà) che avevano firmato un appello a suo sostegno. Ma questa lista raccoglie a malapena poco più di 23.000 voti pari al 3,86% e solo 1 Consigliere Regionale. Questo dato presuppone due opzioni: o i sindaci non hanno, effettivamente, appoggiato Legnini, oppure il passaggio di consistenti amministrazioni di centro sinistra verso il centro destra è imminente.

Il “progetto Legnini” così apprezzato dal centro sinistra e soprattutto dal PD è stato un vero e proprio fallimento sul piano numerico. Le liste a sostegno di Legnini erano 8: 7 liste civiche o più formazioni aggregate più la lista del PD. Di queste 8 liste solo tre hanno superato la soglia di sbarramento del 3% penalizzando il centro sinistra in termini di seggi. Infatti il centro sinistra ha solo 5 consiglieri regionali con il 30,63% mentre il Movimento 5 Stelle con il 19,73% dei voti elegge 7 consiglieri regionali. Pertanto parlare di progetto su cui ricostruire il centro sinistra è alquanto vacuo e fallimentare.

Altro dato da analizzare è l’aumento del numero degli astenuti, meno 102.578 (- 8,45%) rispetto alle scorse Regionali e meno 143.246 (- 22,14%) rispetto alle Politiche del 4 marzo scorso. Il numero di schede bianche e nulle diminuiscono sia rispetto alle Regionali, in modo più consistente: – 1,95% di nulle e – 2,43% di bianche, che sulle Politiche, in modo quasi irrilevante: 0,21% nulle e 0,23% bianche. Da questo possiamo dedurre che oltre ad un elettorato che preferisce non recarsi alle urne in maniera sempre più massiccia troviamo anche un elettorato che è deciso nelle proprie scelte.

Chi non è stato rappresentato in questa competizione elettorale è stata la parte che si rifà all’elettorato Comunista. Non erano presenti né il Partito Comunista né tantomeno Rifondazione Comunista o PAP. L’impossibilità di accesso a questa competizione elettorale erano proibitivi per la consistenza dei piccoli partiti.

Ma sicuramente gli elettori che rifiutano il voto sono principalmente elettori di sinistra e Comunisti, con la divisione di queste forze e con la parola d’ordine del voto utile preferiscono rinunciare al loro diritto/dovere non sentendosi rappresentato da nessuna forza in campo.

L’Abruzzo, però, non è quello che è uscito da questa competizione elettorale, non è l’Abruzzo di Salvini che prende solo uno scarso 14% su tutto l’elettorato abruzzese, l’Abruzzo è una regione che pur non essendo mai stata di sinistra (la DC ha sempre gravitato intorno al 50%) ha avuto i suoi esempi “rivoluzionari” come con gli “scioperi a rovescio” negli anni ’50 dove ci furono diversi morti tra le forze del proletariato. L’Abruzzo è quello che si ribella a Salvini quando viene nelle nostre piazze a chiedere voti, l’Abruzzo è quello che si ribella a Di Maio quando capisce che le posizioni del M5S sono solo propagandistiche.

L’Abruzzo ha figure, nell’area comunista, di valore che hanno però il bisogno di essere guidate verso un percorso rivoluzionario. Il quale non può avere inclinazioni verso il parlamentarismo e, di conseguenza, la compromissione con forze borghesi che non pongano nel loro programma politico il rovesciamento di questo sistema e tantomeno verso il ribellismo capace di fare solo vittime.

Il Partito Comunista vuole porsi all’avanguardia di questo popolo che sconta tutti i problemi derivanti da una crisi fatta pagare solo ai lavoratori, ai pensionati, alle classi più deboli. La crisi economica che avvolge l’Abruzzo è crisi grave, tante la aziende che hanno preferito delocalizzare nei Paesi dell’est le loro produzioni industriali dopo aver ricevuto forti incentivi e finanziamenti. Tante le attività del piccolo commercio costrette a chiudere, strangolate dalla grande distribuzione. Tanti gli artigiani che hanno dovuto chiudere le loro botteghe costretti a subire una tassazione insopportabile. Mentre le storiche attività lavorative abruzzesi, quali la pastorizia, l’agricoltura e la pesca rischiano di chiudere definitivamente se non si restituisce ai lavoratori di questi settori la dignità che merita chi fa un lavoro pesante, rischioso, impegnativo.

Vogliamo rivolgerci a quei compagni onesti che intravedono in un sistema economico diverso, nel socialismo, la soluzione dei problemi di disoccupazione, povertà, diritti sociali. La solidarietà di classe deve essere il punto fondamentale di un progetto di rafforzamento della forza comunista, che attraverso una campagna di organizzazione organica tra tutti, riesca a rovesciare il pensiero dominante elaborato dalla borghesia e fatto come pensiero unico. Abituati a pensare e a ragionare secondo il metro di giudizio stabilito dalla borghesia, come se non esistessero due classi quella degli sfruttati (maggioritaria) e quella degli sfruttatori (minoranza).

«Il proletariato non ha altro strumento di lotta per il potere all'infuori dell'organizzazione. La forma suprema della sua organizzazione di classe è il Partito». (Lenin).

Il Partito Comunista ha nel centralismo democratico la sua più alta struttura organizzativa. Deve avere come caratteristiche fondamentali: autonomia politica, autonomia finanziaria (con militanti che finanziano il proprio partito perché questo li rappresenta come soggetti nella loro condizione sociale), ma soprattutto con “i capitani”, ovvero i quadri del partito capaci di analizzare la fase in cui viviamo, le dinamiche sociali e quelle economiche.

La forza del Partito Comunista risiede nella sua dottrina, nella sua politica, … nella sua struttura, nella sua unità, nel suo metodo democratico di direzione, nella lotta contro ogni deviazione opportunista, nella vigilanza rivoluzionaria. (P. Secchia)

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